Sessioni avanzate
Sbircia come avviene una sessione di riprogrammazione di chi è già dentro l'Accademia

1) In questa sessione ci occupiamo del tema dell'abuso di alcol, approfondendo le dinamiche interiori che possono sostenerlo. Per facilitare questo processo, utilizziamo la tecnica del racconto e quella del diapason: attraverso il racconto si evocano immagini, emozioni e situazioni che parlano alla parte subconscia della persona, mentre il diapason favorisce, per risonanza, l'emergere dei contenuti subconsci che contribuiscono a mantenere questo comportamento. In questo modo diventa possibile riconoscere e portare alla luce i fattori profondi che alimentano l'uso eccessivo di alcol. (Parte 1 - le altre due sessioni sotto).
2) In questa sessione abbiamo dato spazio a un tema profondo e spesso doloroso: il difficile rapporto con il denaro, che in realtà parla di molto di più.
La protagonista si sente intrappolata in una routine logorante: non riesce a dedicare tempo ed energia al proprio lavoro perché ogni giornata è assorbita dal bisogno di sistemare la casa alla perfezione, per evitare conflitti con il marito. Dietro questa dinamica quotidiana, però, si nasconde un copione ben più antico.
Fin da bambina, ha imparato che per ricevere attenzioni doveva mettere da parte se stessa e i propri desideri, per rispondere ai bisogni degli altri — soprattutto di sua madre. Le pulizie erano il linguaggio con cui sperava di essere vista, amata, accolta.
Questa ferita ha creato uno squilibrio profondo nel suo femminile: la parte di sé che dovrebbe saper accogliere, ricevere, sentirsi meritevole, è rimasta soffocata da un senso di dovere e di iper-controllo. Così, anche oggi, fa fatica a permettersi di ricevere: amore, tempo, denaro, abbondanza.
Nel nostro lavoro insieme stiamo dando voce a questi vissuti sepolti, svelando come questa antica mancanza di radicamento emotivo abbia alimentato un senso di scarsità che non riguarda solo le risorse materiali, ma il sentirsi degna di avere spazio, sostegno e nutrimento nella vita.
Stiamo ricostruendo passo dopo passo la fiducia nel suo diritto di essere, di accogliere, di prosperare — senza dover più sacrificare se stessa per guadagnarsi l’amore degli altri.

3) In questa sessione ci siamo presi lo spazio per ascoltare una paura che spesso resta inascoltata: quella di ammalarsi.
Una paura che non nasce dal nulla, ma affonda le radici in esperienze di dolore, perdita e traumi vissuti in prima persona o osservati in chi ci è caro.
Per questa persona, la perdita del padre ha rappresentato un punto di svolta profondo. Non tanto per l’evento in sé — inevitabile nella vita — ma perché non è mai stato davvero elaborato. Mostrarsi forte, sempre e comunque, è diventata la sua corazza: un modo per andare avanti senza crollare. Ma quella stessa forza, che sembrava proteggerla, le ha impedito di attraversare fino in fondo il dolore, lasciando ferite aperte che oggi alimentano l’ansia per la salute.
Durante il nostro incontro, abbiamo dato voce a questa parte spaventata, ma anche a quella polarità opposta che a volte prende il sopravvento: l’atteggiamento di chi minimizza, si distrae, non si prende mai davvero cura di sé perché “non c’è tempo” o “tanto non succede nulla”.
Abbiamo riconosciuto come entrambe queste spinte — l’ipercontrollo e la superficialità — siano tentativi di protezione. Ma è nell’equilibrio, nel mezzo tra l’allarmismo e la negazione, che può fiorire un rapporto più sano con il proprio corpo e la propria salute.
Un corpo che non è un nemico da temere né un dettaglio da ignorare, ma una casa da ascoltare e abitare con presenza.
E così, passo dopo passo, stiamo imparando a concederci di sentire, di lasciare andare ciò che non è stato pianto, di accogliere la vulnerabilità come una forma di forza vera.

4) In questa sessione abbiamo portato luce su un ciclo silenzioso ma logorante, spesso alla base della dipendenza da alcol (parte 2).
Un meccanismo che si nutre di buona volontà e senso del dovere, ma che finisce per intrappolare:
“Reggo tutto”, “Posso farcela da solo”, “Non devo pesare sugli altri”.
Così si comincia a dare, e a dare ancora.
Fino a dare troppo.
Ci si carica di responsabilità, si offrono attenzioni, cure, tempo, energia — spesso ben oltre i propri limiti.
Ma il corpo e la psiche non mentono: lo stress cresce, la fatica si accumula, la rabbia bussa.
Rabbia per il carico, per la solitudine, per il sentirsi invisibili. Ma esprimerla è difficile: compare subito il senso di colpa.
“Non posso arrabbiarmi, non ne ho il diritto.”
Allora quella rabbia viene inghiottita, repressa. E l’alcol diventa un modo per scioglierla da dentro, senza farla esplodere fuori.
Un anestetico che sembra tenere insieme tutto, almeno per un po’.
Poi arriva un altro senso di colpa — quello per aver bevuto — e il bisogno di “rimediare”.
Così si riparte: si torna ad aiutare, a essere disponibili, a sostenere tutti, nel tentativo di espiare.
E il ciclo ricomincia.
Abbiamo anche osservato un altro aspetto, più sottile ma altrettanto potente:
bere come anticipo del rifiuto, come strategia inconscia per proteggerci dalla delusione.
Se mi aspetto che gli altri non ci saranno per me, se temo che mi negheranno accoglienza o affetto… allora bevo prima.
Così controllo il dolore, lo prevengo.
E a volte, attraverso l’alcol, la rabbia che non riesce a esprimersi direttamente trova sfogo in modo indiretto: con chi ci sta vicino, con chi ci ama, con chi vorrebbe capirci — ma si trova davanti a un muro.
In questa tappa del percorso abbiamo iniziato a riconoscere il ciclo, non per giudicarlo, ma per comprenderlo.
Vedere come ogni anello di questa catena nasca da un tentativo, spesso antico, di proteggerci.
E come sia possibile iniziare a trasformarlo.
Non si tratta solo di “smettere di bere”, ma di imparare a dare voce alla rabbia senza vergogna, a dire “basta” senza sentirsi cattivi, a chiedere senza sentirsi deboli.
A esistere senza doverci annullare per meritare amore.
Un passo alla volta, stiamo riscrivendo le regole.
Con più verità, più contatto, più libertà.

5) In questa sessione abbiamo portato attenzione a un nodo cruciale: la difficoltà di stabilire confini chiari.
Per una personalità dal cuore “verde”, empatica e generosa, dire di no, delimitare spazi e tempi, riconoscere i propri limiti senza sentirsi in colpa può sembrare quasi impossibile. È come se la propria identità fosse intrecciata alla disponibilità verso gli altri, al bisogno di accogliere, di farsi carico, di “esserci sempre”.
Ma questa mancanza di confini si riflette inevitabilmente anche nel business. Quando non sappiamo dire stop o mettere paletti, finiamo spesso a disperdere energie preziose, a lasciarci risucchiare da dinamiche che non ci nutrono davvero. Ed ecco che, a livello più profondo, entra in gioco una strategia subconscia: la complicazione.
Complicare, rallentare, rimandare: sono modi sottili in cui la mente cerca di proteggersi dal rischio di esaurire risorse vitali che già sente di non riuscire a preservare. È un tentativo di conservare energia laddove mancano solidi confini esterni.
Abbiamo visto come questo schema affondi le radici in un vissuto di iper-adattamento: quando non ci si sente autorizzati a proteggere i propri spazi, diventa necessario creare ostacoli inconsci per non andare incontro a un sovraccarico emotivo e fisico.
Insieme abbiamo riconosciuto quanto sia prezioso per una personalità così sensibile imparare a custodirsi. Imparare a dire: “Questo sì, questo no”, senza sentirsi egoisti o inadeguati. Perché i confini non allontanano: anzi, permettono di restare presenti in modo autentico e sostenibile.
Un passo alla volta, stiamo trasformando la complicazione in chiarezza, la dispersione in centratura.
Saper scegliere dove investire tempo ed energia è un atto d’amore verso se stessi — e anche la chiave per far prosperare un business che non esaurisca, ma nutra davvero.

6) In questa sessione abbiamo proseguito un percorso delicato e coraggioso: quello verso la liberazione dalla dipendenza dall’alcol.
Un viaggio che non si esaurisce nel semplice “smettere di bere”, ma che tocca radici ben più profonde: emozioni negate, bisogni inespressi, strategie di sopravvivenza che, con il tempo, diventano prigioni.
Abbiamo osservato insieme come, paradossalmente, l’intensificarsi di certe crisi possa essere un segnale positivo: un indizio che la vecchia dinamica si sta finalmente sradicando. È come se la parte più autentica di sé cominciasse a ribellarsi a un copione di autosabotaggio, chiedendo di essere vista, ascoltata, accolta.
Un punto centrale è stato riconoscere l’influenza dell’ambiente che ci circonda: spesso ci portiamo addosso un “copione di appartenenza” che ci spinge a reprimere ciò che sentiamo davvero, per non turbare l’equilibrio degli altri. Così, ci facciamo carico dei pesi altrui, convinti di dover essere forti, di non poter deludere nessuno — mentre dentro di noi il vuoto si fa più grande, e l’alcol diventa un rifugio illusorio.
Abbiamo anche esplorato una dinamica sottile ma potente: la tendenza a proiettare sugli altri le nostre ferite. Cercare di “salvare” chi ci sta vicino spesso è un modo inconscio di provare a salvare parti di noi stessi che ancora chiedono di essere guarite.
In questa tappa del percorso stiamo imparando a riconoscere queste vecchie strategie, a vederle per quello che sono: tentativi di proteggerci che ora possiamo trasformare.
Un passo dopo l’altro, stiamo costruendo nuove modalità di relazione — con sé stessi e con gli altri — basate non più sul sacrificio o sul controllo, ma sull’autenticità, sul sentire, sul diritto di esistere senza dover anestetizzare ciò che fa male.

7) Report personalizzato dopo la terza sessione, parte del viaggio verso la liberazione dalla dipendenza dall’alcol.

8) Follow up dopo 3 sessioni di riprogrammazione del subconscio sulla dipendenza da alcool
In questo audio condivido l’evoluzione di un percorso profondo e trasformativo. Dopo tre sessioni, emergono due aspetti fondamentali:
Il passaggio dall’autogiudizio e dal rifiuto di sé a uno spazio interiore di accoglienza e compassione, dove la persona riesce a guardarsi con maggiore umanità e gentilezza.
Un evidente stato di maggiore rilassamento e leggerezza, favorito anche dalla consapevolezza ricevuta attraverso il report che ho inviato: uno sguardo chiaro sulle dinamiche familiari che alimentavano la dipendenza, finalmente comprese e riconosciute.
Un esempio concreto di come lavorare sul subconscio permetta di sciogliere blocchi profondi e aprire la strada a una relazione più sana con sé stessi e con la vita.
